foto Giuseppe Bonelli |
LA FINESTRA DI LUCREZIO
49a/d2014
Ho aperto una finestra nell'orto del “Giardino”, una finestra che guarda la “conoscenza delle cose”.
La finestra di Lucrezio, una
finestra ispirata all'inno della vita
alle cose visibili e
invisibili agli occhi, ai lumi che illuminano le notti
ai venti che
agitano le cose, alle voci che attraversano indenni i pori delle mura.
Una
finestra aperta, da leggere
che accoglie la 'O' di origine e la 'Q' di quadro
Antonella Cappòni
UN
ORTO D’ARTE, “HORTUS ARTIS”, ALLA RISCOPERTA DELLA RURALITÀ
CHE È
DENTRO DI NOI.
Altrocioccolato
trasmette impellente questo senso di ruralità, di terra, di alberi
enormi, di posti lontani, in cui sede devo trovare un’immagine vedo crescere il cacao sotto l’ombra
protettiva delle palme e dei banani, e al tempo stesso anche la fatica del contadino nei campi, allegro se il raccolto è
buono ma subito angosciato se le messi scarseggiano,
in perenne instabile equilibrio con la natura.
Proprio
a partire da questo fondamentale snodo etico tra
cibo-terra-sostenibilità-solidarietà e insicurezza alimentare, 21
artiste ed artisti, italiani e non, hanno dato l’impulso alla terza
edizione di Opposto/Contrario, prendendo parte con i propri lavori
alle istanze etiche globali di Altrocioccolato 2014, dedicato appunto
alla nudità del cibo, alla sua essenza primaria, e misurarsi in
scienza e coscienza – come si dice in medicina – con la salute
del pianeta. L’arte è davvero la medicina dell’anima —-è un
fatto di fficile da negare — e con questo scopo nel quadrilatero di
Palazzo Bufalini si sono riuniti in un orto concluso alcuni tra i
migliori specialisti a kilometro zero (ma non solo, perché in realtà
la provenienza dei convenuti include oltre al belpaese anche Turchia,
Germania, Inghilterra, Argentina e Stati Uniti d’America), per
off rire il proprio punto di vista sulla questione del cibo,
dell’anima, della terra, dei solchi, dei segni, dei frutti,
dell’industria della frutta, e del cacao, del lavoro salariato, del
lavoro minorile, dei signori della guerra, dei contadini massacrati,
di altri contadini che diventano guerriglieri e anche di Beuys, che
un po’ guerrigliero lo è stato, e che secondo Harald Lemke, ha
incarnato la leadership della gastrosofi a,
una filosofia basata
sul cibo e sulla cucina, “eat art” la
de nisce Lemke, basandosi – a suo dire – sul rapporto viscerale
del grande tedesco con gli elementi naturali, dalla terra agli
animali, e con il cibo, sul quale scrisse poi davvero nel 1984 il
libro “The artof cooking” durante
il suo soggiorno a Pescara, dove aveva fondato tra le altre cose
l’Istituto per la Rinascita dell’Agricoltura ed era nel frattempo
incappato nella tradizione culinaria italica profonda.
“Noi
possiamo comunicare con la terra, la terra è viva, la terra può
parlarci, basta cominciare ad ascoltare”,
ricordava Joseph Beuys. In questo “Hortus Artis” (orto
d’arte/orto dell’arte) convivono specie diverse, rispettando il
principio appunto della “biodiversità” messo oggi a repentaglio
dalla massi ficazione dell’industria alimentare e cognitiva, che
tende ad ignorare per interesse economico le concrete distruttive
tensioni tra l’uomo e il suo ambiente e soprattutto a far pagare il
conto ai più deboli, siano essi animali, vegetali o esseri umani.
Il
concetto di “orto” in senso filoso fico e artistico non è
sicuramente nuovo ed anzi si fa risalire alla letteratura religiosa
medievale ed ancora prima alla Genesi e ai Vangeli. In epoca
contemporanea, Domenico “Mimmo” Paladino ha realizzato nel 1992
nel Convento di San Domenico a Benevento il proprio “Hortus
Conclusus”, mentre dodici anni prima è Alberto Burri a cimentarsi
su questo tema, realizzando nel 1980 gli Orti, i nove spettacolari
pezzi realizzati per la Fabbrica di Orsanmichele di Firenze, e più
recentemente Anselm Kiefer, allievo di Beuys, transitato lo scorso
anno agli ex Seccatoi di Burri, metteva in mostra tra aprile e maggio
del 2009 alla Galleria Gagosian di Roma il suo “Hortus
Philosophorum”, gruppo di otto sculture raffi guranti pile
irregolari di massicci libri di piombo, che evocano alcuni dei temi
centrali del suo lavoro, poesia, mitologia e storia.
Senza
voler fare paragoni con i grandi maestri, ai quali non manca tuttavia
il tributo, o entrare nello speci fico dei singoli lavori, il
tragitto che all’interno di “hortus artis” unisce i 20
personali “vivai” di Josè Carlos Araoz, Silvia Bistacchia, Polly
Brooks, Antonella Capponi, Nadia Casini, Luca Costantini, Danilo
Fiorucci, Benedetta Galli, Karpüseeler, Robert Lang, Serenella
Lupparelli, Francesca Manfredi, Vittoria Mazzoni, Roberta Meccoli,
Laura Patacchia, Roberto Pierini, Lucilla Ragni, Sandford&Gosti,
Paolo Tramontana, Beste Ural, tenderà a creare, così ci aspettiamo,
una metafora visiva in cui il precario equilibrio, la perenne
instabilità della materia e delle emozioni, giungano a comunicare
per un attimo – il più lungo possibile – il respiro della terra
e l’aroma del cacao.
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